DALLA
POLONIA ALL’ITALIA
Le origini del II Corpo d’Armata polacco
di
Giuseppe Campana
Raimondo Orsetti
Il Corpo d’Armata polacco nasce ufficialmente in Irak nel luglio
del 1943, ma la sua storia comincia molti anni prima. L’unità
è infatti soprattutto composta di cittadini polacchi che erano
stati deportati e rinchiusi nei campi di lavoro forzato e nelle prigioni
dell’Unione Sovietica e che, prima di arrivare in Medio Oriente,
avevano subito tutta una serie di vicissitudini.
Il 23 agosto 1939 era stato firmato a Mosca, da Germania nazista e Unione
Sovietica, il “Patto di non aggressione tedesco-sovietico”,
che prevedeva nell’Europa orientale due distinte sfere territoriali
di influenza, nelle quali i due Paesi avrebbero potuto operare senza il
timore di interferenze reciproche. Neutralizzato in tal modo un eventuale
intervento sovietico contro la Germania, la politica aggressiva di Hitler
continua con l’invasione della Polonia, che avviene il primo settembre
1939. Segue, il 3 settembre, la dichiarazione di guerra alla Germania
da parte di Gran Bretagna e Francia: l’Europa e poi tutto il mondo
verranno a mano a mano coinvolti in un sanguinoso conflitto.
Pur combattendo con valore e determinazione, le truppe polacche vengono
sopraffatte dalle superiori forze tedesche e si ritirano in parte nelle
zone a sud del Paese. Ma quando, il 17 settembre, le armate dell’Unione
Sovietica invadono la Polonia da oriente, il colpo alle spalle si rivela
fatale e impedisce a molti soldati di rifugiarsi in Romania e Ungheria.
Già ai primi di ottobre cessano quasi del tutto i combattimenti.
La Polonia, ricostituitasi solo nel 1918 dopo secoli di lotte per la libertà
contro russi, tedeschi e austriaci, è costretta subire una ulteriore
spartizione, la quarta della sua storia. I tedeschi annettono direttamente
al Reich le province occidentali, mentre nel rimanente territorio polacco,
che comprende le città di Varsavia, Cracovia e Lublino, viene imposto
un “Governatorato Generale” sotto controllo tedesco. I polacchi
subiscono le brutali conseguenze dell’ideologia nazista. Gli ebrei
sono in parte uccisi e il resto rinchiuso nei ghetti: quasi l’intera
comunità ebraica polacca – due milioni di persone –
verrà soppressa nei campi di sterminio nazisti. La classe dirigente
polacca viene fisicamente eliminata, due milioni di cittadini sono deportati
nel Reich, decine di migliaia di uomini di Slesia, Pomerania e della regione
di Poznan sono costretti ad arruolarsi nella Wehrmacht, le forze armate
tedesche, mentre con la chiusura di scuole, università, musei si
tenta di cancellare l’intera cultura polacca.
I territori orientali della Polonia, compresa la città di Lwów,
sono occupati dall’Unione Sovietica, che procede ad elezioni farsa
e all’inserimento di cittadini sovietici nel sistema amministrativo.
La Polonia orientale viene di fatto incorporata e trattata come parte
integrante dell’Unione Sovietica, che considera i residenti come
propri cittadini. Nel periodo 1939 – 1941 quasi un milione di persone
vengono rinchiuse dai sovietici nelle prigioni, nei campi di lavoro forzato
o uccise. Le deportazioni avvengono in quattro ondate successive e coinvolgono
contadini, famiglie dei 200 mila soldati polacchi catturati dall’Armata
Rossa nel 1939, magistrati, insegnanti, politici, uomini d’affari,
funzionari statali. Al tempo stesso l’Unione Sovietica incoraggia
le aspirazioni di ucraini e bielorussi, introducendo le loro lingue, accanto
a quella russa, nelle università ed eliminando tutto ciò
che rappresenta la cultura polacca.
Il Governo polacco si ricostituisce il 30 settembre 1939 a Parigi, dove
il gen. Wladyslaw Sikorski, eminente personalità politica della
Polonia, forma un gabinetto di unità nazionale, subito riconosciuto
da Francia e Gran Bretagna. Sikorski, Primo ministro e ministro della
Guerra, si dedica alla riorganizzazione delle forze armate polacche, convinto
che con un forte potere militare alle spalle possa meglio difendere gli
interessi nazionali della Polonia.
Con i militari polacchi rifugiatisi in Ungheria e Romania e fuggiti dall’internamento
e con i polacchi presenti in Francia viene decisa la formazione di diverse
unità che, alla fine, inquadreranno circa 80 mila soldati. Quando
la Francia viene invasa dalla Germania, nel maggio del 1940, il Governo
polacco si trasferisce, con circa 20 mila soldati, a Londra, dove con
il Primo ministro britannico Winston Churchill si raggiungono accordi
che portano al potenziamento dell’Aeronautica e della Marina polacche
e alla formazione del I Corpo d’Armato polacco, i cui reparti daranno
un valido contributo allo sforzo bellico alleato in Normandia e in Olanda.
L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, cominciata il 22
giugno 1941, provoca in Europa un cambiamento della situazione politica
e militare. I sovietici si trovano in gravi difficoltà e ottengono
l’appoggio di Gran Bretagna e Stati Uniti: questi ultimi entreranno
in guerra nel dicembre del 1941, ma hanno già avviato il meccanismo
della legge degli “affitti e prestiti” a favore delle nazioni
amiche.
Il nuovo contesto influisce anche sui rapporti tra polacchi e sovietici:
il 30 luglio 1941 il Governo polacco in esilio e una delegazione sovietica
raggiungono a Londra un primo accordo, sostenuto dal Governo britannico,
a cui segue il 14 agosto un patto militare. Secondo tali accordi, dopo
la concessione di una amnistia a favore dei polacchi trattenuti nelle
prigioni e nei campi di lavoro forzato sovietici, con gli ex prigionieri
verrà formata un’Armata polacca in Unione Sovietica, destinata
a partecipare alla comune lotta contro la Germania nazista. Al comando
dell’Armata il Governo polacco designa il Ten. Gen. Wladislaw Anders,
distintosi nella lotta per l’indipendenza della Polonia e nella
Campagna del 1939, che i sovietici hanno fatto prigioniero e rinchiuso
nel carcere della Lubianka, a Mosca.
L’Armata, che dipendente dal Governo polacco in esilio, ma è
controllata dal punto di vista operativo dai sovietici, si costituisce
nella regione dell’Oremburg-Volga, con Quartier Generale a Buzuluk.
Dalle carceri e dai campi di lavoro forzato sovietici arrivano molti polacchi
in pessime condizioni fisiche, malati, denutriti, pressoché privi
di vestiario e, con essi, bambini e donne, con parte delle quali il gen.
Anders organizza un Servizio ausiliario femminile.
Nonostante le assicurazioni sovietiche che i prigionieri polacchi sono
solo 21 mila, a metà ottobre del 1941 gli uomini arruolati sono
oltre 25 mila e continuano ad affluire in massa, anche se i comandanti
dei campi di lavoro contrastano la liberazione di chi è in condizioni
fisiche accettabili. Inoltre, a causa della critica situazione al fronte,
i sovietici possono fornire armi ed equipaggiamenti per una sola divisione
e razioni per 30 mila persone, quando i polacchi raggiungono ormai il
numero di 40 mila.
Nel dicembre del 1941 un accordo tra Stalin, segretario generale del Partito
comunista sovietico, e Sikorski prevede un’Armata polacca di 96
mila uomini, con due divisioni di 11 mila uomini ognuna organizzate secondo
gli schemi sovietici e quattro strutturate secondo il sistema britannico.
Circa 25 mila uomini, inclusi tutti gli aviatori e i marinai, sarebbero
stati poi evacuati in Gran Bretagna e in Medio Oriente. A Stalin vengono
inoltre fatte presenti le difficoltà dovute alla carenza di viveri,
alla inadeguatezza dell’armamento, alle condizioni dei soldati –
la maggior parte dei quali sono accampati intende e devono sopportare
temperature bassissime – e alle conseguenti ripercussioni sull’addestramento.
Nel gennaio e febbraio del 1942 i polacchi vengono trasferiti nelle repubbliche
asiatiche dell’Unione Sovietica: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan,
con il Quartier Generale sistemato a Jangi-Jul, tra Samarcanda e Taškent,
e il centro di evacuazione a Krasnovodsk, sul mar Caspio.
Alla richiesta sovietica del febbraio 1942 di inviare una divisione al
fronte, Anders oppone un rifiuto, sia perché intende impiegare
l’Armata come forza unitaria sia perché è convinto
che armamento e addestramento sono ancora insufficienti. In particolare,
Anders lamenta l’assenza di quadri, tanto che un certo numero di
ufficiali viene fatto venire dalla Gran Bretagna, e pone il problema del
mancato arrivo nell’Armata di numerosi ufficiali polacchi prigionieri
dei russi, chiedendone notizia e cominciando a nutrire forti sospetti
sulla loro sorte.
I russi, agli inizi di marzo del 1942, quando i polacchi dell’Armata
sono oltre 70 mila, riducono per ritorsione il numero delle razioni a
26 mila. Segue subito un incontro tra Stalin e Anders che porta a un cambiamento
dell’accordo del dicembre 1941: l’Unione Sovietica è
in grado di fornire ai polacchi un massimo di 44 mila razioni e l’Armata
dovrà essere strutturata su tre divisioni; tutti i soldati in soprannumero
saranno evacuati in Persia, occupata fin dall’agosto del 1941 da
Gran Bretagna e Unione Sovietica. L’operazione comincia già
il 24 marzo e dura fino al 4 aprile del 1942: 33069 soldati e 10789 civili,
tra cui tremila bambini, vengono trasferiti per ferrovia a Krasnovodsk
e poi in battello a Pahlevi in Persia.
All’esodo, oltre alla critica situazione in Unione Sovietica provocata
dalla pressione tedesca, ha contribuito anche Winston Churchill: preoccupato
per la sicurezza dei campi petroliferi in Persia e Iraq, che le scarse
unità britanniche non sono in grado di proteggere, aveva insistito
con i sovietici per il trasferimento dei polacchi. Nell’aprile del
1942 Anders si reca a Londra dove incontra sia Sikorski, che è
favorevole all’impiego in Unione Sovietica delle truppe polacche,
sia Churchill: a entrambi esprime l’opinione che l’intera
Armata polacca debba essere trasferita dall’Unione Sovietica in
Persia. Il generale è preoccupato per le deficienze in razioni
e nell’armamento e per le malattie che hanno colpito i suoi uomini,
ma anche per l’atteggiamento sovietico, che impedisce l’arruolamento
dei polacchi di origine ucraina e bielorussa. L’Unione Sovietica
sostiene che si tratta di cittadini sovietici, rivendicando così
i territori della Polonia già annessi nel 1939 e ora occupati dai
tedeschi. Ritornato in Unione Sovietica, Anders insiste presso le autorità
per ottenere il consenso al trasferimento in Persia anche delle restanti
unità. La richiesta viene infine accettata nel luglio del 1942
– anche perché consente il rientro in patria dei soldati
sovietici in Persia – e dal l 5 al 25 agosto si compie il secondo
esodo. I polacchi che lasciano l’Unione Sovietica in marzo e in
agosto, e in minor quantità in novembre, raggiungono così
in totale, tra civili e militari, la cifra di circa 115 mila, con i soldati
che si aggirano sulle 70 mila unità. Le truppe si insediano a Pahlevi
e a Teheran e, dopo una serie di incontri con le autorità britanniche,
vengono messe a punto le modalità di organizzazione di un’Armata
polacca. La situazione di partenza è molto precaria, a causa delle
condizioni fisiche degli ex internati nel gulag sovietico: in poche settimane
muoiono mille persone, mentre molti soldati sono affetti da febbri malariche.
Circa 3500 soldati sono inviati in Gran Bretagna per rinforzare gli squadroni
dell’Aeronautica polacca. Con i restanti uomini è costituita
l’Armata polacca in Oriente (APW) che comprende reparti polacchi
già presenti in zona, l’ospedale polacco e la Brigata indipendente
“Fucilieri dei Carpazi” del gen. Stanislaw Kopanski, anch’essa
con una lunga storia alle spalle. Nata in Siria nel maggio del 1940 e
sostenuta dai francesi, era formata da soldati polacchi fuggiti attraverso
i Balcani dopo il settembre del 1939. In seguito alla caduta della Francia,
si era spostata in Palestina e poi a Tobruk e aveva preso parte con i
suoi 5800 uomini, a fianco dell’Esercito inglese, ai combattimenti
in Africa del Nord.
L’Armata polacca in Oriente, organizzata secondo gli ordinamenti
inglesi e comandata dal gen. Anders, entra a far parte della Pai Force
(Persia and Iraq Command): si tratta di truppe britanniche e indiane che
hanno il compito, oltre che di sorvegliare i campi petroliferi, di costruire
basi e di organizzare il flusso verso l’Unione Sovietica dei rifornimenti
del programma “affitti e prestiti”. I polacchi difendono i
campi petroliferi e si addestrano fino a che, nel marzo del 1943, sono
inviati nel nord dell’Iraq, nella zona di Kirkuk, dove vengono istruiti
sulle tecniche della guerra in montagna e delle azioni di sbarco.
In questo periodo arriva ad Anders la drammatica conferma dei suoi sospetti.
Nella foresta di Katyn, vicino a Smolensk, i tedeschi scoprono –
nell’aprile del 1943 – delle fosse comuni con 4400 corpi.
Si tratta di ufficiali polacchi fatti prigionieri dai russi nel 1939 e
massacrati l’anno successivo – come è ormai confermato
da tutte le fonti – dai reparti speciali della Nkvd (Commissariato
del popolo per gli affari interni, in realtà polizia politica),
su ordine del Politburo sovietico. In totale sono 22 mila i prigionieri
polacchi uccisi dai sovietici nell’aprile del 1940 con lo scopo
di eliminare quei cittadini che in futuro avrebbero potuto guidare una
lotta per la rinascita della Polonia. I tragici aspetti umani di questa
criminale “pulizia di classe” si ripercuotono anche sul piano
diplomatico: quando il Governo polacco propone alla Croce Rossa internazionale
di istituire una commissione internazionale di inchiesta, i sovietici
rompono le relazioni diplomatiche con i polacchi. Già dopo la partenza
di Anders, i rapporti si erano deteriorati: era stata impedita l’ulteriore
formazione di truppe polacche ed erano stati arrestati gli addetti al
reclutamento. Le intenzioni sovietiche si rivelano in modo chiaro quando
Stalin acconsente, nel maggio del 1943, alla formazione in Unione Sovietica
di un’Armata polacca, comandata dal gen. Zygmunt Berling, ex collaboratore
di Anders. La nuova Armata è del tutto subordinata alle autorità
sovietiche, anche se formalmente dipende dalla Unione dei patrioti polacchi,
un gruppo procomunista di “polacchi di Mosca” che, in contrapposizione
con i “polacchi di Londra”, sono favorevoli alla cessione
all’Unione Sovietica delle province orientali della Polonia. Stalin
può così disporre di unità polacche senza alcun legame
con il Governo in esilio e sotto stretto controllo sovietico, che daranno
comunque anch’esse un valido contributo alla lotta con il nazismo.
Nel giugno del 1943 le truppe polacche in Iraq sono ispezionate dal gen.
Sikorski: dopo la visita viene stabilita la nascita di una formazione
tattica da chiamare II Corpo d’Armata polacco e al cui comando è
designato il gen. Anders. Il II Corpo è strutturato sul modello
britannico, ma dispone di supporto diretto di artiglieria e carri armati,
oltre che di servizi non presenti in un Corpo d’Armata britannico.
L’importante decisione è seguita da una grave tragedia. Nel
ritorno a Londra, l’aereo di Sikorski effettua una sosta a Gibilterra
e, poco dopo il decollo per la tappa finale, il 4 luglio, precipita in
mare. Il gen. Sikorski muore e la Polonia perde uno dei più decisi
sostenitori degli interessi nazionali, una personalità stimata
dagli Alleati, a cui aveva più volte fatto presente il problema
del confine orientale del Paese, e capace di mantenere la disciplina interna.
Dopo la sua morte, le strutture politica e militare del Governo polacco
vengono divise: Primo Ministro diventa Stanislaw Mikolajczyk, mentre il
generale Kazimierz Sosnkowski assume il comando in capo delle Forze armate.
I due uomini hanno idee politiche e sociali diverse: il primo è
favorevole a trattative con Mosca mentre il generale, fervente patriota,
diffida dei sovietici.
La nuova organizzazione delle forze militari polacche entra in vigore
dal 21 luglio 1943. Il II Corpo polacco assume un ordinamento basato su
due divisioni di fanteria e una brigata corazzata, a cui si aggiungono
l’artiglieria di Corpo d’Armata, il Reggimento “Lancieri
dei Carpazi”, il 10° Battaglione Genio, l’11° Battaglione
Guardie e unità di commando. Tale ordinamento subirà in
seguito notevoli variazioni. Ma la struttura su due divisioni rimarrà
una costanza del Corpo. E’ anche prevista una “Base”,
comprendente la 7° Divisione di riserva, strutture per addestramento,
ospedali, servizi. Nell’agosto del 1943 i polacchi vengono trasferiti
in Palestina, dove quasi tremila ebrei su quattromila presenti abbandonano
il Corpo per partecipare alla lotta per la creazione di uno Stato ebraico.
Tra essi Menahem Begin, che diventerà Primo Ministro d’Israele.
Nel territorio tra Tel Aviv e il confine egiziano continuano le manovre
in terreno montuoso e in ottobre il II Corpo viene trasferito a Campo
Quassasin in Egitto. I comandi britannici richiedono una divisione polacca
sul fronte italiano, ma il gen. Anders rifiuta perché fedele alla
sua posizione di impiegare il II Corpo come struttura unitaria. Nel novembre
del 1943 è lo stesso gen. Sosnkowski, in occasione di una vista
ai reparti, a comunicare che tutto il Corpo verrà utilizzato in
Italia. Infine, nel dicembre del 1943, le autorità britanniche,
in accordo con quelle polacche, prendono la decisione di inviare il II
Corpo in Italia. I polacchi devono sostituire i reparti che gli Alleati
hanno intenzione di trasferire dall’Italia in Gran Bretagna per
partecipare allo sbarco in Normandia, confermato per la primavera del
1944.
I soldati del II Corpo vengono trasportati in treno nella regione di Alessandria
e Port Said e da qui i britannici li trasferiscono in Italia utilizzando
anche alcune navi polacche: l’operazione prende l’avvio il
15 dicembre 1943 e continua fino al mese di aprile del 1944. Mentre in
Egitto rimane un comando dell’Armata polacca in Oriente, poi trasformato
in Quartier Generale delle Unità in Medio Oriente, i reparti destinati
in Italia sbarcano soprattutto a Taranto e nei porti di Brindisi e di
Napoli.
Al II Corpo è assegnata un’ampia area attorno a Masseria
S. Teresa, alle spalle di Taranto lungo la strada per Monopoli, scelta
per la vicinanza al porto e ai depositi britannici. Le unità sono
acquartierate in cinque campi di tende, ma in seguito i siti subiscono
costanti variazioni, in relazione all’arrivo di nuovi contingenti,
che affluiscono anche nella zona di Mòttola, dove si insedia il
Quartier Generale del II Corpo. Dal punto di vista operativo, il Corpo
polacco è inquadrato nell’ 8^ Armata britannica che, con
la 5^ Armata americana, costituisce le Armate Alleate in Italia, comandate
dal gen. Harold Alexander.
Agli inizi del 1944 i tedeschi sono attestati sulla Linea Gustav –
che corre dal fiume Garigliano, sul mar Tirreno, fino al mar Adriatico
a nord del fiume Sangro – con la 10° Armata, mentre la 14°
Armata circonda e costringe a rimanere sulla difensiva le truppe alleate
sbarcate ad Anzio il 22 gennaio 1944. In questa situazione di stallo e
mentre è ancora in corso il trasferimento dall’Egitto, al
II Corpo polacco viene affidato un settore sulla linea del fiume Sangro,
tra Castel S. Vincenzo, a sud di Alfedena, e Colledimezzo (Piano del Monte),
a sud di Atessa, che costituisce la saldatura tra la 5^ Armata americana,
impegnata nel settore occidentale, e l’8^ Armata britannica, che
tiene il settore orientale della Linea Gustav. I compiti del II Corpo
sono di carattere difensivo e verranno poi estesi anche al settore tra
Castel S. Vincenzo e le sorgenti del fiume Rapido.
Poi, nell’offensiva messa a punto nel marzo del 1944, il comando
alleato affida al II Corpo il compito di spezzare il dispositivo difensivo
tedesco sulle montagne a nord di Cassino, impadronendosi della collina
del Monastero – l’ultima barriera naturale, potentemente difesa,
prima di Roma – e delle posizioni tedesche, affidate alla 1^ Divisione
Paracadutisti e alla 5^ Divisione Alpina. L’attacco polacco, iniziato
nella notte tra l’11 e il 12 maggio contemporaneamente alle altre
forze alleate, si conclude il 25 maggio con la conquista di Monte Cairo
e Piedimonte. Nella mattina del 18 maggio 1944 un reparto del 12°
Reggimento esplorante “Lancieri di Podolia” innalza la bandiera
polacca sulle rovine dell’abbazia di Montecassino, distrutta dagli
Alleati nel bombardamento del 15 febbraio.
Dopo la conquista di Roma da parte degli Alleati, il 17 giugno 1944 il
II Corpo assume la responsabilità del settore adriatico. All’epoca
gli effettivi del II Corpo polacco sono circa 43 mila e l’unità
è formata da due divisioni di fanteria (3^ Divisione “Fucilieri
dei Carpazi” e 5^ Divisione “Kresowa”), dalle truppe
di Corpo d’Armata (artiglieria, servizi, reggimento esplorante “Fucilieri
dei Carpazi”) e dalla 2^ Brigata corazzata, composta di tre reggimenti
dotati di carri armati Sherman e Stuart. E’ attivo anche il “Servizio
Ausiliario Femminile”, impegnato soprattutto nella Sanità,
ma anche nelle Trasmissioni e nei Trasporti. Collaborano con i polacchi:
il Corpo italiano di liberazione, comandato dal gen. U. Utili e con un
organico di circa 25 mila uomini; il 7° Reggimento “Ussari”,
una unità esplorante-corazzata britannica; i partigiani, circa
400, della Banda “Patrioti della Maiella”, comandati da E.
Troilo. Le forze tedesche contrapposte sono costituite da due divisioni
di fanteria (278^ e 71^) a organici ridotti, prive di carri armati e di
copertura aerea, ma dotate di una efficace artiglieria, di cannoni d’assalto,
usati in ruolo controcarro, di semoventi italiani M42 e di armi controcarro
individuali. La campagna ha il suo punto culminante nella conquista di
Ancona, il 18 luglio, presa dopo aspri combattimenti sostenuti nella zona
di Osimo. Il 9 agosto prende l’avvio la Battaglia del Cesano, che
si propone di consolidare il possesso della Statale n. 76: questa strada
deve infatti essere percorsa in sicurezza dal I Corpo canadese e dal V
Corpo britannico nel loro trasferimento verso il versante adriatico, dove
dovranno essere impiegati per sfondare la Linea Gotica. La successiva
Battaglia del Metauro si svolge dal 19 al 22 agosto ed ha come obiettivo
la conquista, ad opera dei polacchi, delle basi di partenza alleate per
le successive operazioni contro la Linea Gotica. E’ considerato
il combattimento più accanito affrontato dal II Corpo durante tutta
la campagna adriatica. Dopo l’attacco alla Linea Gotica, sferrato
il 25 agosto con le altre truppe alleate, per il II Corpo il ciclo operativo
nel settore adriatico si conclude il 2 settembre, con la liberazione dell’intera
zona tra Pesaro e Gradara.
In ottobre, dopo un periodo di riposo, i polacchi vengono trasferiti in
Emilia-Romagna, dove operano su un terreno montuoso e in difficili condizioni
atmosferiche. Il 27 ottobre, dopo duri combattimenti, conquistano Predappio,
luogo di nascita di Benito Mussolini, e cooperano alla liberazione di
Faenza. Poi gli Alleati esauriscono la spinta offensiva e sono costretti
a sospendere le operazioni, mentre il fronte si stabilizza sulla linea
del fiume Senio. In questo periodo il II Corpo polacco viene notevolmente
rinforzato: in particolare, le divisioni di fanteria sono ora articolate
su tre brigate in luogo delle due precedenti, mentre un reggimento di
artiglieria è dotato di pezzi di grosso calibro. Le operazioni
offensive riprendono nell’aprile del 1945 e portano alla resa dei
tedeschi e alla fine della guerra in Italia. Il II Corpo libera Imola
il 15 aprile e contribuisce notevolmente, il 21 aprile 1945, alla conquista
di Bologna, dove i polacchi entrano per primi alle 6 del mattino, accolti
con entusiasmo dalla popolazione. La bandiera polacca viene issata sul
balcone del Palazzo municipale e poi sulla Torre degli Asinelli, la più
alta della città. Il 6 ottobre 1945 il sindaco di Bologna, Giuseppe
Dozza, conferisce la cittadinanza onoraria al gen. Anders nella sua qualità
di comandante delle “valorose truppe polacche che prime entrarono
in Bologna”. Analogo gesto avverrà ad Ancona l’ 8 dicembre
1945 da parte del Sindaco Ruggeri.
Durante la Campagna d’Italia, il II Corpo polacco ha subito, tra
i morti, feriti e dispersi, oltre 17 mila perdite. Il numero comprende
anche coloro che sono stati evacuati per aver perso l’idoneità
al combattimento e i feriti per varie cause (incidenti, ecc...). Le perdite
in combattimento sono state le seguenti: 2197 morti, 8376 feriti e 264
dispersi (in prevalenza caduti prigionieri). Nel periodo 1944-45 il II
Corpo ha combattuto sul fronte italiano per 367 giorni, eliminando dal
combattimento circa 50 mila soldati tedeschi.
Con il contributo dato alle armate alleate i polacchi, oltre a lottare
contro la Germania nazista, sperano anche di ottenere il sostegno dei
Governi britannico e statunitense per il recupero dei territori orientali
annessi nel 1939 dall’Unione Sovietica e per la ricostituzione di
una Polonia libera e indipendente. Il II Corpo, in particolare, avrebbe
dovuto costituire l’ossatura del futuro esercito nazionale polacco.
Ma proprio nel corso della Campagna d’Italia gli avvenimenti prendono
una via del tutto sfavorevole alle loro aspettative.
Nella conferenza di Teheran del novembre 1943, gli Alleati raggiungono
un accordo di massima anche sulla futura frontiera polacco-sovietica:
a Stalin viene concessa la maggior parte della Polonia orientale, di cui
l’Unione Sovietica si era impadronita come risultato dei patti tedesco-sovietici
dell’agosto-settembre 1939. La Polonia avrebbe ricevuto compensazioni
territoriali a spese della Germania. Churchill comunica queste proposte
al Governo polacco in esilio, che le respinge fermamente.
Nel gennaio del 1944 le truppe sovietiche sono all’offensiva e attraversano
il confine anteguerra della Polonia. L’Armata dell’Interno
(Armia Krajowa), che raccoglie le forze della resistenza polacca collegate
con il Governo in esilio, attua l’ ”Operazione Tempesta”,
che si propone di offrire cooperazione ai sovietici e, al tempo stesso,
di dimostrare che l’Armata Rossa non è sola nell’opera
di liberazione della Polonia. Secondo il piano, l’Armata dell’interno
avrebbe aperto le ostilità contro i tedeschi e sarebbe poi andata
incontro all’Armata Rossa come autorità legittima. L’obiettivo
finale, in linea con il Governo in esilio, è quello di mantenere
l’autonomia della Polonia dall’Unione Sovietica.
Alcune azioni contro i tedeschi vedono russi e polacchi uniti nella lotta,
ma poi i comandanti della resistenza polacca cominciano a essere arrestati
o uccisi dalla Nkvd, mentre ai soldati, dopo il disarmo, viene imposta
dai sovietici la scelta tra i campi di lavoro o l’entrata nell’Armata
di Berling. L’insurrezione di Varsavia dell’agosto 1944 contro
i tedeschi costituisce l’ultimo disperato tentativo della resistenza
polacca di rivendicare il proprio ruolo. I componenti dell’Armata
dell’Interno, oltre 36 mila, riescono all’inizio a conquistare
gran parte della città, ponendosi poi sulla difensiva in attesa
di aiuti dall’ovest, che vengono sospesi dopo gravi perdite, o dai
sovietici, che invece non arriveranno per nulla.
I tedeschi possono così scatenare la loro controffensiva, che vede
coinvolte anche la famigerata “Brigata di Polizia”, composta
di criminali comuni, e la “Brigata Kaminsky”, formata da cittadini
sovietici che avevano aderito al nazismo. Dopo il massacro di circa 40
mila polacchi, in ottobre tutto finisce con la resa e la distruzione di
gran parte di Varsavia. Il risultato è la dispersione dell’Armata
dell’Interno, mentre molti polacchi perdono fiducia nel Governo
in esilio, che ormai non possiede più alcun potere negoziale. L’Armata
del Popolo (Armia Ludowa), che raccoglie le formazioni comuniste della
resistenza polacca, pur avendo cominciato la propria attività con
un numero di sostenitori nettamente inferiore a quello dell’Armata
dell’Interno, può ora sostenere di rappresentare l’intera
nazione polacca. Nel frattempo le unità sovietiche procedono al
rastrellamento dei superstiti reparti della resistenza polacca non comunista.
Intorno al mese di febbraio del 1945 quasi l’intero territorio polacco
è stato conquistato dall’Armata Rossa, mentre le tappe “istituzionali”
che portano la Polonia a diventare un Paese comunista, già avviate
a Teheran, erano proseguite con la conferenza di Mosca dell’ottobre
1944, in cui Stalin e Churchill, si accordano sul grado di influenza che
Unione Sovietica e Gran Bretagna avrebbero avuto nei Balcani. A Mosca
si discute anche del destino della Polonia, ma il Primo ministro polacco
Mikolajczyk può occuparsi solo di dettagli, in quanto i “grandi”
sono già d’accordo sul futuro confine orientale della Polonia.
La frontiera dovrà correre lungo la Linea Curzon e quindi le province
orientali polacche, compresa la città di Lwów, verranno
cedute all’Unione Sovietica. Mikolajczyk non riesce a convincere
il suo gabinetto ad accettare questi termini e il 24 dicembre 1944 si
dimette.
Il destino della Polonia verrà confermato a Jalta e a Potsdam,
nel febbraio e nel luglio del 1945. L’Unione Sovietica intende creare
una vasta zona di sicurezza sui suoi confini occidentali, trasformando
il potere militare, che le deriva dalla sua decisiva azione contro il
nazismo, in potere politico. Churchill, con il consueto pragmatismo, e
pur consapevole della posizione dominante che l’Unione Sovietica
avrebbe assunto nell’Europa orientale del dopoguerra, sa che è
impossibile far recedere Stalin dalle posizioni conquistate con le armi.
A Jalta l’accordo sulla spartizione dell’Europa è nei
fatti: basta prendere atto della realtà derivante dalla situazione
militare sia dell’Armata Rossa sia delle forze angloamericane. In
cambio della consegna all’Unione Sovietica delle province orientali
polacche e del suo consenso a una Polonia che adotti un “atteggiamento
amichevole verso la Russia, Churchill chiede l’entrata nel futuro
Governo di tutti gli “elementi democratici polacchi”.
Ma l’Unione Sovietica, che ben conosce il forte sentimento nazionale
polacco, prepara con cura e con apparente legalità la conquista
del potere: fin dal loro ingresso in Polonia, i sovietici sono accompagnati
dal Comitato polacco di liberazione nazionale, espressione dei “polacchi
di Mosca” , contrapposti a quelli di Londra, e della resistenza
comunista, che prende poi il nome di “Comitato di Lublino”,
diventando nel gennaio del 1945 Governo provvisorio e accettando l’annessione
all’Unione Sovietica delle province orientali polacche.
Nel Governo di unità nazionale, riconosciuto il 5 luglio 1945 da
Stati Uniti e Gran Bretagna, erano entrati in giugno anche alcuni “polacchi
di Londra, tra cui Mikolajczyk, ma le posizioni più importanti
rimangono nelle mani di persone nominate dal “Comitato di Lublino”.
Il nuovo Governo è in realtà allineato con Mosca e dominato
dai comunisti, mentre ormai in tutta la Polonia stazionano le truppe sovietiche.
Si procede a imprigionare gli esponenti della resistenza non comunista
dopo averli invitati, nel marzo del 1945, a un incontro trappola. Il gen.
Leopold Okulicki, appartenente al II Corpo e ultimo comandante dell’Armata
dell’Interno, viene processato a Mosca e condannato a dieci anni
di reclusione per presunte attività contro l’Armata Rossa,
ma nel 1946 morirà in carcere in circostanze oscure. La stessa
sorte tocca a delegati del Governo in esilio di Londra.
I russi tentano in tal modo di screditare l’Armata dell’Interno,
facendo credere che essa ha combattuto contro l’Armata Rossa e,
al tempo stesso, eliminano dalla scena politica coloro che si oppongono
alla instaurazione a Varsavia di un regime vassallo di Mosca. Poi, dopo
aver modificato i confini dello Stato, controllato gli insediamenti polacchi
nei territori sottratti alla Germania, liquidato la vecchia classe dirigente
e annientato la residua resistenza armata anticomunista, si tengono, nel
gennaio del 1947, le elezioni che sanciranno la dipendenza della Polonia
dalla Unione Sovietica. L’Esercito polacco verrà ricostituito,
sul modello di quello sovietico, con un nucleo formato dai 400 mila soldati
che hanno combattuto sul fronte russo-tedesco. Dal 1949, a riprova della
costante ingerenza russa, esso verrà posto agli ordini del maresciallo
sovietico, di origine polacca, Konstantin Rokossovskij.
La maggior parte degli oltre 250 mila soldati polacchi che avevano combattuto
contro il nazismo sui fronti occidentali non accettano l’autorità
del nuovo regime in Polonia e rifiutano il rimpatrio in un Paese sotto
dominio comunista, anche per il timore di essere imprigionati. I soldati
del II Corpo, in particolare, che hanno sofferto la prigionia in Unione
Sovietica e che sono in gran parte originari delle province polacche cedute
ai sovietici, guardano al comunismo con sospetto e inimicizia. Il gen.
Anders è convinto che Gran Bretagna e Stati Uniti abbiano violato
i loro obblighi assunti nei confronti della Polonia e manifesta le proprie
idee negli incontri che ha con Churchill – uno dei quali si svolge
il 26 agosto 1944 nel Quartier Generale polacco, tra Senigallia e Fano
– e con i comandanti militari alleati, oltre che con esponenti del
Governo in esilio. Dopo la conferenza di Jalta, che fissa la frontiera
orientale della Polonia lungo la Linea Curzon, in cambio di ampliamenti
territoriali a nord e a ovest, con l’annessione di territori tedeschi
fino ai fiumi Oder e Neisse, il gen. Anders si fa interprete del risentimento
dei suoi soldati, chiedendo alle autorità alleate di ritirare i
reparti del II Corpo dal fronte. Ma poi i polacchi continuano ugualmente
la lotta contro la Germania, a fianco degli Alleati.
Pur sostenendo che la Polonia è “in schiavitù”
e che è ormai impossibile un ritorno “con le bandiere al
vento come araldi della liberta”, il gen. Anders informa i suoi
soldati che, se lo vogliono, possono rientrare singolarmente nel Paese.
Su una forza totale di 112 mila effettivi, raggiunta dopo un ormai bloccato
programma di potenziamento, sono circa 14 mila coloro che chiedono il
rimpatrio: si tratta soprattutto di soldati giunti da poco tra le file
del II Corpo. Al tempo stesso, l’unità diventa un polo di
attrazione per i polacchi di tutta Europa: nell’Italia centrale
e meridionale vengono creati campi per i civili e si istituiscono corsi
professionali. Per i bambini e gli adolescenti si organizzano scuole sovvenzionate
dagli stessi soldati. In alcune località della Puglia e delle Marche
(Amandola, Ancona, Falconara, Fermo, Jesi, Macerata, Porto Recanati, Porto
S. Giorgio, Recanati, Sarnano, Senigallia, S. Ginesio, S. Severino, Urbino)
sorgono scuole di vario indirizzo in cui si svolgono anche “corsi
di maturità” per quei militari che non avevano potuto completare
gli studi a causa della guerra. Ed è ad Alessano, in provincia
di Lecce, che viene impiantata la prima scuola in cui si tengono corsi
per il conseguimento della maturità liceale o ginnasiale. Ancora
oggi, in Polonia, vengono chiamati gli “Alessanesi di Polonia”
coloro che li hanno frequentati.
Le sezioni “Editoria” e “Cultura e Stampa” del
II Corpo producono testi militari, ma anche libri scolastici, saggi storici,
romanzi, raccolte di poesie, mentre molti giovani possono frequentare
le università di Padova, Bologna, Roma. Nel 1946, a continuazione
dell’attività svolta all’interno del II Corpo, sorgono
una casa editrice (Instytut Literacki) e la rivista “Kultura”,
molto importante per la sua influenza sulla letteratura polacca del dopoguerra.
La rivista ha avuto, tra i più illustri collaboratori, Gustaw Herling,
soldato del II Corpo e autore di “Un mondo a parte”, straordinaria
opera letteraria e impressionante testimonianza sui campi di lavoro forzato
sovietici. Ma anche un libro che, per le sue traversie editoriali, costituisce
un silenzioso biasimo morale per quegli intellettuali italiani e francesi
che volevano tenere gli occhi chiusi su ciò che accadeva in Unione
Sovietica.
Nasce in Italia una letteratura del II Corpo, che diventerà una
“letteratura dell’esilio”, ispirata agli eventi della
guerra, alla nostalgia per la patria lontana e alla particolare drammatica
situazione in cui si trovano i polacchi. Ma sulla quale influiscono anche
gli storici rapporti di amicizia tra i due Paesi e una rinnovata reciproca
comprensione e conoscenza, l’arte, la natura, il sole, il paesaggio
italiano. Già durante la guerra era stato pubblica, fin dalla permanenza
in Medio Oriente, “Dziennik Zolnierza APW” (il quotidiano
del soldato – Armata Polacca in Oriente), che in Italia mantiene
questa testata. Il giornale segue gli spostamenti del fronte e, per un
certo periodo, viene stampato a Fermo. Al quotidiano si affiancano varie
testate periodiche, tra cui il settimanale “Orzel Bialy” (L’Aquila
Bianca) e pubblicazioni specifiche delle varie formazioni del II Corpo.
Come ricorda lo scrittore Jan Bielatowicz, il II Corpo diventa una sorta
di “grande nave che viaggia attraverso il tempo, raccogliendo ovunque
naufraghi polacchi”, l’ ”ultima speranza”, il
“rifugio e il punto d’arrivo”, oltre il quale, però,
si delineano il fallimento di tutte le aspirazioni polacche e la frustrante
realtà dell’assorbimento della Polonia nel sistema politico
e militare sovietico. Una condizione psicologica che porta alcuni soldati
polacchi a inscenare dimostrazioni di ripulsa e di spregio nei confronti
dei simpatizzanti di sinistra italiani e a compiere vere e proprie aggressioni
contro i militanti comunisti e le manifestazioni del Partito comunista,
soprattutto nelle Marche, ma anche in Emilia Romagna.
La stampa comunista risponde con attacchi contro il II Corpo, ma si verificano
anche reazioni violente contro i polacchi. Si tratta, in sintesi , di
uno scontro tra due posizioni inconciliabili, da inquadrare nelle tensioni
politiche e sociali del dopoguerra: entrambi i contendenti sono convinti
di essere nel giusto. Il Partito comunista, consapevole del ruolo importante
avuto nella Resistenza e portatore di idee di rinnovamento totale della
società – ma anche perché allineato con Mosca, dove
l’utopia sociale a suo avviso si è realizzata, e permeato
del “mito” dell’Armata Rossa per il contributo determinante
dato alla lotta contro il nazismo – trova inconcepibile l’anticomunismo
e l’antisovietismo dei polacchi. I soldati polacchi, dal canto loro,
sono in gran parte reduci dai campi di lavoro forzato sovietico e, consapevoli
delle intenzioni egemoniche dell’Unione Sovietica nei confronti
della Polonia, identificano il comunismo con l’aggressione sovietica
del 1939, che aveva portato alla spartizione del loro Paese con la Germania
nazista. Per molti polacchi gli italiani, appena liberatisi da una forma
di totalitarismo, appaiono intenzionati a sceglierne volontariamente un’altra,
a cui una parte dei soldati del II Corpo tenta di opporsi duramente. Sull’attività
dei polacchi nel maceratese contro i membri del Partito comunista esiste
una lettera ufficiale di protesta della Federazione provinciale di Macerata
del Pci, datata 2 luglio 1945, che provoca l’intervento delle autorità
alleate. Gli episodi vengono presi a pretesto per chiedere che i polacchi
abbandonino l’Italia, perché “il popolo è stanco
di sopportarli” (“Bandiera Rossa”, Organo marchigiano
del Partito Comunista Italiano, 8/9/1945).
Dopo Jalta e la formazione in Polonia del Governo di unità nazionale,
il gen. Anders viene dipinto come “un reazionario, legato agli interessi
antinazionali dei latifondisti polacchi” (“Bandiera Rossa”,
8/12/1945) che inganna e minaccia i suoi soldati per impedirne il ritorno
in Polonia. Le gravi sciagure stradali causate da autieri polacchi nei
primi mesi del 1946 – duramente riprovate anche dai giornali non
di partito – provocano sulla stampa comunista un’intensificazione
della polemica contro i polacchi del II Corpo. Con il pretesto di respingere
l’accusa, si insinua che possa trattarsi di un “piano preordinato
a fini provocatori” (“Bandiera Rossa”, 6/7/1946) e che
“elementi reazionari fascisti italiani”operino “per
cercare connivenze e collaborazione tra le forze polacche per creare disordini
e conflitti”. I duemila polacchi di stanza ad Ancona sono accusati
di rapine, ubriachezza, traffico di macchine rubate e di penicillina,
di speculazioni (“L’Unità”, 16/10/1946), mentre
tutti i soldati del II Corpo, definiti “le bande di Anders”,
starebbero preparando una guerra contro l’Unione Sovietica.
Si tratta, in definitiva, di una violenta campagna di stampa che a elementi
di verità unisce false accuse e che oggi appare strumentale. Ricondotta
al clima di quegli anni, essa sembra proporsi due obiettivi: difendere
le posizioni di Mosca sulla questione polacca; screditare i polacchi poiché
per la sinistra italiana, che all’epoca fa parte della compagine
governativa e che vede i polacchi del II Corpo come alleati potenziali
delle forze conservatrici e moderate, la loro presenza costituisce un
problema politico. Nessuna meraviglia, quindi, che ai polacchi –
che sono antinazisti e anticomunisti per aver subito lutti e sofferenze
a causa dei tedeschi e dei sovietici – tocchi in Italia l’amaro
destino di essere accusati di fascismo. E la discriminazione ideologica
nei confronti dei soldati del II Corpo e delle loro vicende è andata
ben oltre gli anni caldi del dopoguerra. Nei decenni successivi, quando
una più meditata riflessione avrebbe dovuto indurre gli storici
a lavori senza omissioni, distorsioni e condizionamenti ideologici, c’è
stato nelle Marche chi ha evitato di ricordare, trattando la questione
polacca, l’imbarazzante patto tra Germania nazista e Unione Sovietica,
la prigionia dei polacchi in Unione Sovietica, il contributo dato dai
polacchi alla liberazione delle Marche e che nel 1985, in Emilia Romagna,
in occasione delle celebrazioni per il 40° anniversario della liberazione
di Bologna, non ha invitato i rappresentanti del II Corpo polacco.
Il destino dei polacchi che hanno combattuto sui fronti occidentali è
ormai segnato: gli Alleati respingono la proposta del gen. Anders di riunire
in Germania tutte le forze polacche e il nuovo Governo laburista britannico
– guidato da Clement Attlee – nel maggio del 1946 decide la
smobilitazione del II Corpo polacco, attraverso il passaggio a un Corpo
di Avviamento (Polish Resettlement Corps) che preparerà i soldati
alla vita civile. I polacchi del II Corpo – scrive il gen. Anders
nell’ordine del giorno del 29 maggio 1946 – lasceranno l’Italia,
ma batteranno sempre la “strada ignota verso la Polonia, quella
Polonia per la quale abbiamo combattuto … che nessun cuore polacco
può immaginare senza Vilno e Leopoli”. Parole che suscitano
la reazione del ministro degli Esteri britannico, Ernes Bevin, il quale
auspica che tali sentimenti non vengano ripetuti da Anders in dichiarazioni
ufficiali, in quanto le frontiere della Polonia sono ormai state fissate
internazionalmente.
Le autorità britanniche non invitano le forze polacche all’estero
a partecipare alla grande Parata della Vittoria, che si svolge a Londra
l’8 giugno 1946. Il gen. Anders risponde celebrando ad Ancona, il
15 giugno successivo, la “Giornata del soldato” del II Corpo
e fa trasmettere dagli altoparlanti il “voto”: “le forze
polacche indipendenti devono essere smobilitate, (ma) … come soldati
della sovrana Repubblica Polacca … continueremo la nostra lotta
per la libertà della Polonia”. Il 26 settembre 1946 il Governo
polacco priva Anders e altri 75 generali e ufficiali superiori della cittadinanza
polacca.
Il 31 ottobre 1946 il gen. Anders lascia l’Italia, dopo le visite
di congedo al capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, al presidente
del Consiglio Alcide De Gasperi, al papa Pio XII, e al Quartier Generale
alleato di Caserta. Ma – scrive il generale nelle sue memorie –
per la Polonia la guerra non è cessata con la vittoria, come per
le altre nazioni alleate, e ai polacchi non resta che credere e attendere
che si compia “l’ultimo capitolo di questo grande sconvolgimento
storico”. Anders, inappuntabile sul piano militare, usa nelle sue
considerazioni politiche – in questa e in successive occasioni –
un linguaggio franco e istintivo che spesso provoca accese polemiche e
forti reazioni o che dà adito a interpretazioni distorte e interessate,
ma formalmente giustificate dalle stesse parole del generale. La strada
immediata è tuttavia quella dell’esilio: nell’autunno
del 1946 i soldati del II Corpo vengono trasferiti in Gran Bretagna, dove
possono trattenersi nel Corpo di Avviamento per un periodo massimo di
due anni, allo scopo di imparare la lingua inglese e un mestiere. Molti
scelgono di rimanere in Gran Bretagna, altri emigrano negli Stati Uniti,
in Canada, Argentina, Australia. Alcune centinaia di polacchi, in particolare
chi ha sposato donne italiane, si stabiliscono in Italia.
I polacchi del II Corpo che si avviano all’esilio sono consapevoli
di aver combattuto con grande determinazione, riconosciuta da tutti i
comandanti alleati, per una rivincita nei confronti dell’invasione
tedesca del 1939, per i loro familiari rimasti in Polonia, per la sopravvivenza
personale e nazionale, ma anche per l’Italia. Il loro riferimento
ideale era stato il generale polacco Jan Henryk Dabrowski, che nel 1797
si era battuto a fianco di Napoleone e aveva aiutato i lombardi con la
speranza di portare poi la libertà nel suo Paese, marciando, appunto,
“dalla terra italiana alla Polonia”, una frase che oggi non
si realizza, perché il loro Paese accanto alle violenze dei vinti
deve sopportare l’ingiustizia dei vincitori.
La Polonia, infatti, dopo essere stata vittima della duplice aggressione
nazista e sovietica del 1939 e aver subito nel corso della guerra 6 milioni
di morti su una popolazione di 28 milioni di abitanti, diventa ora vittima
dei nuovi equilibri europei. Che sono il risultato dei protocolli segreti
tra sovietici e tedeschi e degli accordi di Jalta tra sovietici e potenze
occidentali, e che la guerra fredda farà durare per decenni. La
piena indipendenza della Polonia verrà riconquistata solo nel 1989.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Anders Wladislaw, Un’armata in esilio, Cappelli, Bologna 1950.
Bieganski Stanislaw, a cura di, Dzialania
2 Korpusu we Wloszech [Le operazioni del II Corpo in Italia], vol. 1,
Komisja Historyczna 2-go Korpusu, Londra 1963.
Bieganski Witold, Ankona [Ancona], Ksiazka
i Wiedza, Varsavia 1986.
Bieganski Witold, Bolonia 1945 [Bologna
1945], Ministertwo Obrany Narodowej, Varsavia 1986.
Campana Giuseppe, a cura di, La Battaglia
di Ancona del 17 – 19 luglio 1944 e il II Corpo d’Armata polacco,
Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche,
Ancona 2002.
Campana Giuseppe, Orsetti Raimondo, Ancona
1944 – Immagini dei fotografi di guerra inglesi e polacchi, Regione
Marche, Istituto regionale per storia del movimento di liberazione nelle
Marche, Ancona 2004.
Crapanzano Salvatore Ernesto, Il Corpo
Italiano di Liberazione (aprile-settembre 1944) Narrazione Documenti,
Stato Maggiore dell’Esercito-Ufficio Storico, 2° ed., Roma 1971.
Graham Dominick, Bidwell Shelford, La
Battaglia d’Italia 1943-1945, Rizzoli, Milano, 1989.
Hoppe Harry, Die 278 Infanterie Division
in Italien 1944-1945, Hans-Henning Podzun Verlag, Bad Nauheim 1953.
Lewonski Riccardo, I giorni della Liberazione
– Il II Corpo d’Armata polacco in Romagna e a Bologna, CSEO,
Bologna, 1985.
Madera Witold, The Polish 2nd Corps and
the Italian Campaign 1943-1946, Game Publishing Company, Allentown (USA)
1984.
Morris Eric, La guerra inutile, La Campagna
d’Italia 1943-1945, Longanesi, Milano 1993.
Panziera Giampietro, I dissensi in Romagna
e a Bologna tra soldati polacchi e popolazione italiana, “Resistenza
oggi”, Quaderni Bolognesi di Storia Contemporanea, n° 2, v.
XXI, dicembre 2001, pp. 7-18.
Poli Luigi, Le Forze Armate nella Guerra
di Liberazione, 1943 – 1945, Comitato Nazionale per le celebrazioni
del cinquantennale della Resistenza e della Guerra di Liberazione, Roma
1995.
Terlecki Olgierd, I Polacchi nella Campagna
italiana 1943-1945, trad. it., di Alina Addeo, Interpress, Varsavia 1977.
Utili Umberto, “Ragazzi in piedi
!…”, La ripresa dell’Esercito italiano dopo l’8
settembre, a cura di Gabrio Lombardi, Mursia, Milano 1979.
|