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1944-1946
IL II CORPO D’ARMATA POLACCO NELLE MARCHE

DALLA POLONIA ALL’ITALIA
Le origini del II Corpo d’Armata polacco

di
Giuseppe Campana
Raimondo Orsetti


Il Corpo d’Armata polacco nasce ufficialmente in Irak nel luglio del 1943, ma la sua storia comincia molti anni prima. L’unità è infatti soprattutto composta di cittadini polacchi che erano stati deportati e rinchiusi nei campi di lavoro forzato e nelle prigioni dell’Unione Sovietica e che, prima di arrivare in Medio Oriente, avevano subito tutta una serie di vicissitudini.
Il 23 agosto 1939 era stato firmato a Mosca, da Germania nazista e Unione Sovietica, il “Patto di non aggressione tedesco-sovietico”, che prevedeva nell’Europa orientale due distinte sfere territoriali di influenza, nelle quali i due Paesi avrebbero potuto operare senza il timore di interferenze reciproche. Neutralizzato in tal modo un eventuale intervento sovietico contro la Germania, la politica aggressiva di Hitler continua con l’invasione della Polonia, che avviene il primo settembre 1939. Segue, il 3 settembre, la dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Gran Bretagna e Francia: l’Europa e poi tutto il mondo verranno a mano a mano coinvolti in un sanguinoso conflitto.
Pur combattendo con valore e determinazione, le truppe polacche vengono sopraffatte dalle superiori forze tedesche e si ritirano in parte nelle zone a sud del Paese. Ma quando, il 17 settembre, le armate dell’Unione Sovietica invadono la Polonia da oriente, il colpo alle spalle si rivela fatale e impedisce a molti soldati di rifugiarsi in Romania e Ungheria. Già ai primi di ottobre cessano quasi del tutto i combattimenti.
La Polonia, ricostituitasi solo nel 1918 dopo secoli di lotte per la libertà contro russi, tedeschi e austriaci, è costretta subire una ulteriore spartizione, la quarta della sua storia. I tedeschi annettono direttamente al Reich le province occidentali, mentre nel rimanente territorio polacco, che comprende le città di Varsavia, Cracovia e Lublino, viene imposto un “Governatorato Generale” sotto controllo tedesco. I polacchi subiscono le brutali conseguenze dell’ideologia nazista. Gli ebrei sono in parte uccisi e il resto rinchiuso nei ghetti: quasi l’intera comunità ebraica polacca – due milioni di persone – verrà soppressa nei campi di sterminio nazisti. La classe dirigente polacca viene fisicamente eliminata, due milioni di cittadini sono deportati nel Reich, decine di migliaia di uomini di Slesia, Pomerania e della regione di Poznan sono costretti ad arruolarsi nella Wehrmacht, le forze armate tedesche, mentre con la chiusura di scuole, università, musei si tenta di cancellare l’intera cultura polacca.
I territori orientali della Polonia, compresa la città di Lwów, sono occupati dall’Unione Sovietica, che procede ad elezioni farsa e all’inserimento di cittadini sovietici nel sistema amministrativo. La Polonia orientale viene di fatto incorporata e trattata come parte integrante dell’Unione Sovietica, che considera i residenti come propri cittadini. Nel periodo 1939 – 1941 quasi un milione di persone vengono rinchiuse dai sovietici nelle prigioni, nei campi di lavoro forzato o uccise. Le deportazioni avvengono in quattro ondate successive e coinvolgono contadini, famiglie dei 200 mila soldati polacchi catturati dall’Armata Rossa nel 1939, magistrati, insegnanti, politici, uomini d’affari, funzionari statali. Al tempo stesso l’Unione Sovietica incoraggia le aspirazioni di ucraini e bielorussi, introducendo le loro lingue, accanto a quella russa, nelle università ed eliminando tutto ciò che rappresenta la cultura polacca.
Il Governo polacco si ricostituisce il 30 settembre 1939 a Parigi, dove il gen. Wladyslaw Sikorski, eminente personalità politica della Polonia, forma un gabinetto di unità nazionale, subito riconosciuto da Francia e Gran Bretagna. Sikorski, Primo ministro e ministro della Guerra, si dedica alla riorganizzazione delle forze armate polacche, convinto che con un forte potere militare alle spalle possa meglio difendere gli interessi nazionali della Polonia.
Con i militari polacchi rifugiatisi in Ungheria e Romania e fuggiti dall’internamento e con i polacchi presenti in Francia viene decisa la formazione di diverse unità che, alla fine, inquadreranno circa 80 mila soldati. Quando la Francia viene invasa dalla Germania, nel maggio del 1940, il Governo polacco si trasferisce, con circa 20 mila soldati, a Londra, dove con il Primo ministro britannico Winston Churchill si raggiungono accordi che portano al potenziamento dell’Aeronautica e della Marina polacche e alla formazione del I Corpo d’Armato polacco, i cui reparti daranno un valido contributo allo sforzo bellico alleato in Normandia e in Olanda.
L’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, cominciata il 22 giugno 1941, provoca in Europa un cambiamento della situazione politica e militare. I sovietici si trovano in gravi difficoltà e ottengono l’appoggio di Gran Bretagna e Stati Uniti: questi ultimi entreranno in guerra nel dicembre del 1941, ma hanno già avviato il meccanismo della legge degli “affitti e prestiti” a favore delle nazioni amiche.
Il nuovo contesto influisce anche sui rapporti tra polacchi e sovietici: il 30 luglio 1941 il Governo polacco in esilio e una delegazione sovietica raggiungono a Londra un primo accordo, sostenuto dal Governo britannico, a cui segue il 14 agosto un patto militare. Secondo tali accordi, dopo la concessione di una amnistia a favore dei polacchi trattenuti nelle prigioni e nei campi di lavoro forzato sovietici, con gli ex prigionieri verrà formata un’Armata polacca in Unione Sovietica, destinata a partecipare alla comune lotta contro la Germania nazista. Al comando dell’Armata il Governo polacco designa il Ten. Gen. Wladislaw Anders, distintosi nella lotta per l’indipendenza della Polonia e nella Campagna del 1939, che i sovietici hanno fatto prigioniero e rinchiuso nel carcere della Lubianka, a Mosca.
L’Armata, che dipendente dal Governo polacco in esilio, ma è controllata dal punto di vista operativo dai sovietici, si costituisce nella regione dell’Oremburg-Volga, con Quartier Generale a Buzuluk. Dalle carceri e dai campi di lavoro forzato sovietici arrivano molti polacchi in pessime condizioni fisiche, malati, denutriti, pressoché privi di vestiario e, con essi, bambini e donne, con parte delle quali il gen. Anders organizza un Servizio ausiliario femminile.
Nonostante le assicurazioni sovietiche che i prigionieri polacchi sono solo 21 mila, a metà ottobre del 1941 gli uomini arruolati sono oltre 25 mila e continuano ad affluire in massa, anche se i comandanti dei campi di lavoro contrastano la liberazione di chi è in condizioni fisiche accettabili. Inoltre, a causa della critica situazione al fronte, i sovietici possono fornire armi ed equipaggiamenti per una sola divisione e razioni per 30 mila persone, quando i polacchi raggiungono ormai il numero di 40 mila.
Nel dicembre del 1941 un accordo tra Stalin, segretario generale del Partito comunista sovietico, e Sikorski prevede un’Armata polacca di 96 mila uomini, con due divisioni di 11 mila uomini ognuna organizzate secondo gli schemi sovietici e quattro strutturate secondo il sistema britannico. Circa 25 mila uomini, inclusi tutti gli aviatori e i marinai, sarebbero stati poi evacuati in Gran Bretagna e in Medio Oriente. A Stalin vengono inoltre fatte presenti le difficoltà dovute alla carenza di viveri, alla inadeguatezza dell’armamento, alle condizioni dei soldati – la maggior parte dei quali sono accampati intende e devono sopportare temperature bassissime – e alle conseguenti ripercussioni sull’addestramento. Nel gennaio e febbraio del 1942 i polacchi vengono trasferiti nelle repubbliche asiatiche dell’Unione Sovietica: Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, con il Quartier Generale sistemato a Jangi-Jul, tra Samarcanda e Taškent, e il centro di evacuazione a Krasnovodsk, sul mar Caspio.
Alla richiesta sovietica del febbraio 1942 di inviare una divisione al fronte, Anders oppone un rifiuto, sia perché intende impiegare l’Armata come forza unitaria sia perché è convinto che armamento e addestramento sono ancora insufficienti. In particolare, Anders lamenta l’assenza di quadri, tanto che un certo numero di ufficiali viene fatto venire dalla Gran Bretagna, e pone il problema del mancato arrivo nell’Armata di numerosi ufficiali polacchi prigionieri dei russi, chiedendone notizia e cominciando a nutrire forti sospetti sulla loro sorte.
I russi, agli inizi di marzo del 1942, quando i polacchi dell’Armata sono oltre 70 mila, riducono per ritorsione il numero delle razioni a 26 mila. Segue subito un incontro tra Stalin e Anders che porta a un cambiamento dell’accordo del dicembre 1941: l’Unione Sovietica è in grado di fornire ai polacchi un massimo di 44 mila razioni e l’Armata dovrà essere strutturata su tre divisioni; tutti i soldati in soprannumero saranno evacuati in Persia, occupata fin dall’agosto del 1941 da Gran Bretagna e Unione Sovietica. L’operazione comincia già il 24 marzo e dura fino al 4 aprile del 1942: 33069 soldati e 10789 civili, tra cui tremila bambini, vengono trasferiti per ferrovia a Krasnovodsk e poi in battello a Pahlevi in Persia.
All’esodo, oltre alla critica situazione in Unione Sovietica provocata dalla pressione tedesca, ha contribuito anche Winston Churchill: preoccupato per la sicurezza dei campi petroliferi in Persia e Iraq, che le scarse unità britanniche non sono in grado di proteggere, aveva insistito con i sovietici per il trasferimento dei polacchi. Nell’aprile del 1942 Anders si reca a Londra dove incontra sia Sikorski, che è favorevole all’impiego in Unione Sovietica delle truppe polacche, sia Churchill: a entrambi esprime l’opinione che l’intera Armata polacca debba essere trasferita dall’Unione Sovietica in Persia. Il generale è preoccupato per le deficienze in razioni e nell’armamento e per le malattie che hanno colpito i suoi uomini, ma anche per l’atteggiamento sovietico, che impedisce l’arruolamento dei polacchi di origine ucraina e bielorussa. L’Unione Sovietica sostiene che si tratta di cittadini sovietici, rivendicando così i territori della Polonia già annessi nel 1939 e ora occupati dai tedeschi. Ritornato in Unione Sovietica, Anders insiste presso le autorità per ottenere il consenso al trasferimento in Persia anche delle restanti unità. La richiesta viene infine accettata nel luglio del 1942 – anche perché consente il rientro in patria dei soldati sovietici in Persia – e dal l 5 al 25 agosto si compie il secondo esodo. I polacchi che lasciano l’Unione Sovietica in marzo e in agosto, e in minor quantità in novembre, raggiungono così in totale, tra civili e militari, la cifra di circa 115 mila, con i soldati che si aggirano sulle 70 mila unità. Le truppe si insediano a Pahlevi e a Teheran e, dopo una serie di incontri con le autorità britanniche, vengono messe a punto le modalità di organizzazione di un’Armata polacca. La situazione di partenza è molto precaria, a causa delle condizioni fisiche degli ex internati nel gulag sovietico: in poche settimane muoiono mille persone, mentre molti soldati sono affetti da febbri malariche.
Circa 3500 soldati sono inviati in Gran Bretagna per rinforzare gli squadroni dell’Aeronautica polacca. Con i restanti uomini è costituita l’Armata polacca in Oriente (APW) che comprende reparti polacchi già presenti in zona, l’ospedale polacco e la Brigata indipendente “Fucilieri dei Carpazi” del gen. Stanislaw Kopanski, anch’essa con una lunga storia alle spalle. Nata in Siria nel maggio del 1940 e sostenuta dai francesi, era formata da soldati polacchi fuggiti attraverso i Balcani dopo il settembre del 1939. In seguito alla caduta della Francia, si era spostata in Palestina e poi a Tobruk e aveva preso parte con i suoi 5800 uomini, a fianco dell’Esercito inglese, ai combattimenti in Africa del Nord.
L’Armata polacca in Oriente, organizzata secondo gli ordinamenti inglesi e comandata dal gen. Anders, entra a far parte della Pai Force (Persia and Iraq Command): si tratta di truppe britanniche e indiane che hanno il compito, oltre che di sorvegliare i campi petroliferi, di costruire basi e di organizzare il flusso verso l’Unione Sovietica dei rifornimenti del programma “affitti e prestiti”. I polacchi difendono i campi petroliferi e si addestrano fino a che, nel marzo del 1943, sono inviati nel nord dell’Iraq, nella zona di Kirkuk, dove vengono istruiti sulle tecniche della guerra in montagna e delle azioni di sbarco.
In questo periodo arriva ad Anders la drammatica conferma dei suoi sospetti. Nella foresta di Katyn, vicino a Smolensk, i tedeschi scoprono – nell’aprile del 1943 – delle fosse comuni con 4400 corpi. Si tratta di ufficiali polacchi fatti prigionieri dai russi nel 1939 e massacrati l’anno successivo – come è ormai confermato da tutte le fonti – dai reparti speciali della Nkvd (Commissariato del popolo per gli affari interni, in realtà polizia politica), su ordine del Politburo sovietico. In totale sono 22 mila i prigionieri polacchi uccisi dai sovietici nell’aprile del 1940 con lo scopo di eliminare quei cittadini che in futuro avrebbero potuto guidare una lotta per la rinascita della Polonia. I tragici aspetti umani di questa criminale “pulizia di classe” si ripercuotono anche sul piano diplomatico: quando il Governo polacco propone alla Croce Rossa internazionale di istituire una commissione internazionale di inchiesta, i sovietici rompono le relazioni diplomatiche con i polacchi. Già dopo la partenza di Anders, i rapporti si erano deteriorati: era stata impedita l’ulteriore formazione di truppe polacche ed erano stati arrestati gli addetti al reclutamento. Le intenzioni sovietiche si rivelano in modo chiaro quando Stalin acconsente, nel maggio del 1943, alla formazione in Unione Sovietica di un’Armata polacca, comandata dal gen. Zygmunt Berling, ex collaboratore di Anders. La nuova Armata è del tutto subordinata alle autorità sovietiche, anche se formalmente dipende dalla Unione dei patrioti polacchi, un gruppo procomunista di “polacchi di Mosca” che, in contrapposizione con i “polacchi di Londra”, sono favorevoli alla cessione all’Unione Sovietica delle province orientali della Polonia. Stalin può così disporre di unità polacche senza alcun legame con il Governo in esilio e sotto stretto controllo sovietico, che daranno comunque anch’esse un valido contributo alla lotta con il nazismo.
Nel giugno del 1943 le truppe polacche in Iraq sono ispezionate dal gen. Sikorski: dopo la visita viene stabilita la nascita di una formazione tattica da chiamare II Corpo d’Armata polacco e al cui comando è designato il gen. Anders. Il II Corpo è strutturato sul modello britannico, ma dispone di supporto diretto di artiglieria e carri armati, oltre che di servizi non presenti in un Corpo d’Armata britannico. L’importante decisione è seguita da una grave tragedia. Nel ritorno a Londra, l’aereo di Sikorski effettua una sosta a Gibilterra e, poco dopo il decollo per la tappa finale, il 4 luglio, precipita in mare. Il gen. Sikorski muore e la Polonia perde uno dei più decisi sostenitori degli interessi nazionali, una personalità stimata dagli Alleati, a cui aveva più volte fatto presente il problema del confine orientale del Paese, e capace di mantenere la disciplina interna. Dopo la sua morte, le strutture politica e militare del Governo polacco vengono divise: Primo Ministro diventa Stanislaw Mikolajczyk, mentre il generale Kazimierz Sosnkowski assume il comando in capo delle Forze armate. I due uomini hanno idee politiche e sociali diverse: il primo è favorevole a trattative con Mosca mentre il generale, fervente patriota, diffida dei sovietici.
La nuova organizzazione delle forze militari polacche entra in vigore dal 21 luglio 1943. Il II Corpo polacco assume un ordinamento basato su due divisioni di fanteria e una brigata corazzata, a cui si aggiungono l’artiglieria di Corpo d’Armata, il Reggimento “Lancieri dei Carpazi”, il 10° Battaglione Genio, l’11° Battaglione Guardie e unità di commando. Tale ordinamento subirà in seguito notevoli variazioni. Ma la struttura su due divisioni rimarrà una costanza del Corpo. E’ anche prevista una “Base”, comprendente la 7° Divisione di riserva, strutture per addestramento, ospedali, servizi. Nell’agosto del 1943 i polacchi vengono trasferiti in Palestina, dove quasi tremila ebrei su quattromila presenti abbandonano il Corpo per partecipare alla lotta per la creazione di uno Stato ebraico. Tra essi Menahem Begin, che diventerà Primo Ministro d’Israele. Nel territorio tra Tel Aviv e il confine egiziano continuano le manovre in terreno montuoso e in ottobre il II Corpo viene trasferito a Campo Quassasin in Egitto. I comandi britannici richiedono una divisione polacca sul fronte italiano, ma il gen. Anders rifiuta perché fedele alla sua posizione di impiegare il II Corpo come struttura unitaria. Nel novembre del 1943 è lo stesso gen. Sosnkowski, in occasione di una vista ai reparti, a comunicare che tutto il Corpo verrà utilizzato in Italia. Infine, nel dicembre del 1943, le autorità britanniche, in accordo con quelle polacche, prendono la decisione di inviare il II Corpo in Italia. I polacchi devono sostituire i reparti che gli Alleati hanno intenzione di trasferire dall’Italia in Gran Bretagna per partecipare allo sbarco in Normandia, confermato per la primavera del 1944.
I soldati del II Corpo vengono trasportati in treno nella regione di Alessandria e Port Said e da qui i britannici li trasferiscono in Italia utilizzando anche alcune navi polacche: l’operazione prende l’avvio il 15 dicembre 1943 e continua fino al mese di aprile del 1944. Mentre in Egitto rimane un comando dell’Armata polacca in Oriente, poi trasformato in Quartier Generale delle Unità in Medio Oriente, i reparti destinati in Italia sbarcano soprattutto a Taranto e nei porti di Brindisi e di Napoli.
Al II Corpo è assegnata un’ampia area attorno a Masseria S. Teresa, alle spalle di Taranto lungo la strada per Monopoli, scelta per la vicinanza al porto e ai depositi britannici. Le unità sono acquartierate in cinque campi di tende, ma in seguito i siti subiscono costanti variazioni, in relazione all’arrivo di nuovi contingenti, che affluiscono anche nella zona di Mòttola, dove si insedia il Quartier Generale del II Corpo. Dal punto di vista operativo, il Corpo polacco è inquadrato nell’ 8^ Armata britannica che, con la 5^ Armata americana, costituisce le Armate Alleate in Italia, comandate dal gen. Harold Alexander.
Agli inizi del 1944 i tedeschi sono attestati sulla Linea Gustav – che corre dal fiume Garigliano, sul mar Tirreno, fino al mar Adriatico a nord del fiume Sangro – con la 10° Armata, mentre la 14° Armata circonda e costringe a rimanere sulla difensiva le truppe alleate sbarcate ad Anzio il 22 gennaio 1944. In questa situazione di stallo e mentre è ancora in corso il trasferimento dall’Egitto, al II Corpo polacco viene affidato un settore sulla linea del fiume Sangro, tra Castel S. Vincenzo, a sud di Alfedena, e Colledimezzo (Piano del Monte), a sud di Atessa, che costituisce la saldatura tra la 5^ Armata americana, impegnata nel settore occidentale, e l’8^ Armata britannica, che tiene il settore orientale della Linea Gustav. I compiti del II Corpo sono di carattere difensivo e verranno poi estesi anche al settore tra Castel S. Vincenzo e le sorgenti del fiume Rapido.
Poi, nell’offensiva messa a punto nel marzo del 1944, il comando alleato affida al II Corpo il compito di spezzare il dispositivo difensivo tedesco sulle montagne a nord di Cassino, impadronendosi della collina del Monastero – l’ultima barriera naturale, potentemente difesa, prima di Roma – e delle posizioni tedesche, affidate alla 1^ Divisione Paracadutisti e alla 5^ Divisione Alpina. L’attacco polacco, iniziato nella notte tra l’11 e il 12 maggio contemporaneamente alle altre forze alleate, si conclude il 25 maggio con la conquista di Monte Cairo e Piedimonte. Nella mattina del 18 maggio 1944 un reparto del 12° Reggimento esplorante “Lancieri di Podolia” innalza la bandiera polacca sulle rovine dell’abbazia di Montecassino, distrutta dagli Alleati nel bombardamento del 15 febbraio.
Dopo la conquista di Roma da parte degli Alleati, il 17 giugno 1944 il II Corpo assume la responsabilità del settore adriatico. All’epoca gli effettivi del II Corpo polacco sono circa 43 mila e l’unità è formata da due divisioni di fanteria (3^ Divisione “Fucilieri dei Carpazi” e 5^ Divisione “Kresowa”), dalle truppe di Corpo d’Armata (artiglieria, servizi, reggimento esplorante “Fucilieri dei Carpazi”) e dalla 2^ Brigata corazzata, composta di tre reggimenti dotati di carri armati Sherman e Stuart. E’ attivo anche il “Servizio Ausiliario Femminile”, impegnato soprattutto nella Sanità, ma anche nelle Trasmissioni e nei Trasporti. Collaborano con i polacchi: il Corpo italiano di liberazione, comandato dal gen. U. Utili e con un organico di circa 25 mila uomini; il 7° Reggimento “Ussari”, una unità esplorante-corazzata britannica; i partigiani, circa 400, della Banda “Patrioti della Maiella”, comandati da E. Troilo. Le forze tedesche contrapposte sono costituite da due divisioni di fanteria (278^ e 71^) a organici ridotti, prive di carri armati e di copertura aerea, ma dotate di una efficace artiglieria, di cannoni d’assalto, usati in ruolo controcarro, di semoventi italiani M42 e di armi controcarro individuali. La campagna ha il suo punto culminante nella conquista di Ancona, il 18 luglio, presa dopo aspri combattimenti sostenuti nella zona di Osimo. Il 9 agosto prende l’avvio la Battaglia del Cesano, che si propone di consolidare il possesso della Statale n. 76: questa strada deve infatti essere percorsa in sicurezza dal I Corpo canadese e dal V Corpo britannico nel loro trasferimento verso il versante adriatico, dove dovranno essere impiegati per sfondare la Linea Gotica. La successiva Battaglia del Metauro si svolge dal 19 al 22 agosto ed ha come obiettivo la conquista, ad opera dei polacchi, delle basi di partenza alleate per le successive operazioni contro la Linea Gotica. E’ considerato il combattimento più accanito affrontato dal II Corpo durante tutta la campagna adriatica. Dopo l’attacco alla Linea Gotica, sferrato il 25 agosto con le altre truppe alleate, per il II Corpo il ciclo operativo nel settore adriatico si conclude il 2 settembre, con la liberazione dell’intera zona tra Pesaro e Gradara.
In ottobre, dopo un periodo di riposo, i polacchi vengono trasferiti in Emilia-Romagna, dove operano su un terreno montuoso e in difficili condizioni atmosferiche. Il 27 ottobre, dopo duri combattimenti, conquistano Predappio, luogo di nascita di Benito Mussolini, e cooperano alla liberazione di Faenza. Poi gli Alleati esauriscono la spinta offensiva e sono costretti a sospendere le operazioni, mentre il fronte si stabilizza sulla linea del fiume Senio. In questo periodo il II Corpo polacco viene notevolmente rinforzato: in particolare, le divisioni di fanteria sono ora articolate su tre brigate in luogo delle due precedenti, mentre un reggimento di artiglieria è dotato di pezzi di grosso calibro. Le operazioni offensive riprendono nell’aprile del 1945 e portano alla resa dei tedeschi e alla fine della guerra in Italia. Il II Corpo libera Imola il 15 aprile e contribuisce notevolmente, il 21 aprile 1945, alla conquista di Bologna, dove i polacchi entrano per primi alle 6 del mattino, accolti con entusiasmo dalla popolazione. La bandiera polacca viene issata sul balcone del Palazzo municipale e poi sulla Torre degli Asinelli, la più alta della città. Il 6 ottobre 1945 il sindaco di Bologna, Giuseppe Dozza, conferisce la cittadinanza onoraria al gen. Anders nella sua qualità di comandante delle “valorose truppe polacche che prime entrarono in Bologna”. Analogo gesto avverrà ad Ancona l’ 8 dicembre 1945 da parte del Sindaco Ruggeri.
Durante la Campagna d’Italia, il II Corpo polacco ha subito, tra i morti, feriti e dispersi, oltre 17 mila perdite. Il numero comprende anche coloro che sono stati evacuati per aver perso l’idoneità al combattimento e i feriti per varie cause (incidenti, ecc...). Le perdite in combattimento sono state le seguenti: 2197 morti, 8376 feriti e 264 dispersi (in prevalenza caduti prigionieri). Nel periodo 1944-45 il II Corpo ha combattuto sul fronte italiano per 367 giorni, eliminando dal combattimento circa 50 mila soldati tedeschi.
Con il contributo dato alle armate alleate i polacchi, oltre a lottare contro la Germania nazista, sperano anche di ottenere il sostegno dei Governi britannico e statunitense per il recupero dei territori orientali annessi nel 1939 dall’Unione Sovietica e per la ricostituzione di una Polonia libera e indipendente. Il II Corpo, in particolare, avrebbe dovuto costituire l’ossatura del futuro esercito nazionale polacco. Ma proprio nel corso della Campagna d’Italia gli avvenimenti prendono una via del tutto sfavorevole alle loro aspettative.
Nella conferenza di Teheran del novembre 1943, gli Alleati raggiungono un accordo di massima anche sulla futura frontiera polacco-sovietica: a Stalin viene concessa la maggior parte della Polonia orientale, di cui l’Unione Sovietica si era impadronita come risultato dei patti tedesco-sovietici dell’agosto-settembre 1939. La Polonia avrebbe ricevuto compensazioni territoriali a spese della Germania. Churchill comunica queste proposte al Governo polacco in esilio, che le respinge fermamente.
Nel gennaio del 1944 le truppe sovietiche sono all’offensiva e attraversano il confine anteguerra della Polonia. L’Armata dell’Interno (Armia Krajowa), che raccoglie le forze della resistenza polacca collegate con il Governo in esilio, attua l’ ”Operazione Tempesta”, che si propone di offrire cooperazione ai sovietici e, al tempo stesso, di dimostrare che l’Armata Rossa non è sola nell’opera di liberazione della Polonia. Secondo il piano, l’Armata dell’interno avrebbe aperto le ostilità contro i tedeschi e sarebbe poi andata incontro all’Armata Rossa come autorità legittima. L’obiettivo finale, in linea con il Governo in esilio, è quello di mantenere l’autonomia della Polonia dall’Unione Sovietica.
Alcune azioni contro i tedeschi vedono russi e polacchi uniti nella lotta, ma poi i comandanti della resistenza polacca cominciano a essere arrestati o uccisi dalla Nkvd, mentre ai soldati, dopo il disarmo, viene imposta dai sovietici la scelta tra i campi di lavoro o l’entrata nell’Armata di Berling. L’insurrezione di Varsavia dell’agosto 1944 contro i tedeschi costituisce l’ultimo disperato tentativo della resistenza polacca di rivendicare il proprio ruolo. I componenti dell’Armata dell’Interno, oltre 36 mila, riescono all’inizio a conquistare gran parte della città, ponendosi poi sulla difensiva in attesa di aiuti dall’ovest, che vengono sospesi dopo gravi perdite, o dai sovietici, che invece non arriveranno per nulla.
I tedeschi possono così scatenare la loro controffensiva, che vede coinvolte anche la famigerata “Brigata di Polizia”, composta di criminali comuni, e la “Brigata Kaminsky”, formata da cittadini sovietici che avevano aderito al nazismo. Dopo il massacro di circa 40 mila polacchi, in ottobre tutto finisce con la resa e la distruzione di gran parte di Varsavia. Il risultato è la dispersione dell’Armata dell’Interno, mentre molti polacchi perdono fiducia nel Governo in esilio, che ormai non possiede più alcun potere negoziale. L’Armata del Popolo (Armia Ludowa), che raccoglie le formazioni comuniste della resistenza polacca, pur avendo cominciato la propria attività con un numero di sostenitori nettamente inferiore a quello dell’Armata dell’Interno, può ora sostenere di rappresentare l’intera nazione polacca. Nel frattempo le unità sovietiche procedono al rastrellamento dei superstiti reparti della resistenza polacca non comunista.
Intorno al mese di febbraio del 1945 quasi l’intero territorio polacco è stato conquistato dall’Armata Rossa, mentre le tappe “istituzionali” che portano la Polonia a diventare un Paese comunista, già avviate a Teheran, erano proseguite con la conferenza di Mosca dell’ottobre 1944, in cui Stalin e Churchill, si accordano sul grado di influenza che Unione Sovietica e Gran Bretagna avrebbero avuto nei Balcani. A Mosca si discute anche del destino della Polonia, ma il Primo ministro polacco Mikolajczyk può occuparsi solo di dettagli, in quanto i “grandi” sono già d’accordo sul futuro confine orientale della Polonia. La frontiera dovrà correre lungo la Linea Curzon e quindi le province orientali polacche, compresa la città di Lwów, verranno cedute all’Unione Sovietica. Mikolajczyk non riesce a convincere il suo gabinetto ad accettare questi termini e il 24 dicembre 1944 si dimette.
Il destino della Polonia verrà confermato a Jalta e a Potsdam, nel febbraio e nel luglio del 1945. L’Unione Sovietica intende creare una vasta zona di sicurezza sui suoi confini occidentali, trasformando il potere militare, che le deriva dalla sua decisiva azione contro il nazismo, in potere politico. Churchill, con il consueto pragmatismo, e pur consapevole della posizione dominante che l’Unione Sovietica avrebbe assunto nell’Europa orientale del dopoguerra, sa che è impossibile far recedere Stalin dalle posizioni conquistate con le armi. A Jalta l’accordo sulla spartizione dell’Europa è nei fatti: basta prendere atto della realtà derivante dalla situazione militare sia dell’Armata Rossa sia delle forze angloamericane. In cambio della consegna all’Unione Sovietica delle province orientali polacche e del suo consenso a una Polonia che adotti un “atteggiamento amichevole verso la Russia, Churchill chiede l’entrata nel futuro Governo di tutti gli “elementi democratici polacchi”.
Ma l’Unione Sovietica, che ben conosce il forte sentimento nazionale polacco, prepara con cura e con apparente legalità la conquista del potere: fin dal loro ingresso in Polonia, i sovietici sono accompagnati dal Comitato polacco di liberazione nazionale, espressione dei “polacchi di Mosca” , contrapposti a quelli di Londra, e della resistenza comunista, che prende poi il nome di “Comitato di Lublino”, diventando nel gennaio del 1945 Governo provvisorio e accettando l’annessione all’Unione Sovietica delle province orientali polacche.
Nel Governo di unità nazionale, riconosciuto il 5 luglio 1945 da Stati Uniti e Gran Bretagna, erano entrati in giugno anche alcuni “polacchi di Londra, tra cui Mikolajczyk, ma le posizioni più importanti rimangono nelle mani di persone nominate dal “Comitato di Lublino”. Il nuovo Governo è in realtà allineato con Mosca e dominato dai comunisti, mentre ormai in tutta la Polonia stazionano le truppe sovietiche. Si procede a imprigionare gli esponenti della resistenza non comunista dopo averli invitati, nel marzo del 1945, a un incontro trappola. Il gen. Leopold Okulicki, appartenente al II Corpo e ultimo comandante dell’Armata dell’Interno, viene processato a Mosca e condannato a dieci anni di reclusione per presunte attività contro l’Armata Rossa, ma nel 1946 morirà in carcere in circostanze oscure. La stessa sorte tocca a delegati del Governo in esilio di Londra.
I russi tentano in tal modo di screditare l’Armata dell’Interno, facendo credere che essa ha combattuto contro l’Armata Rossa e, al tempo stesso, eliminano dalla scena politica coloro che si oppongono alla instaurazione a Varsavia di un regime vassallo di Mosca. Poi, dopo aver modificato i confini dello Stato, controllato gli insediamenti polacchi nei territori sottratti alla Germania, liquidato la vecchia classe dirigente e annientato la residua resistenza armata anticomunista, si tengono, nel gennaio del 1947, le elezioni che sanciranno la dipendenza della Polonia dalla Unione Sovietica. L’Esercito polacco verrà ricostituito, sul modello di quello sovietico, con un nucleo formato dai 400 mila soldati che hanno combattuto sul fronte russo-tedesco. Dal 1949, a riprova della costante ingerenza russa, esso verrà posto agli ordini del maresciallo sovietico, di origine polacca, Konstantin Rokossovskij.
La maggior parte degli oltre 250 mila soldati polacchi che avevano combattuto contro il nazismo sui fronti occidentali non accettano l’autorità del nuovo regime in Polonia e rifiutano il rimpatrio in un Paese sotto dominio comunista, anche per il timore di essere imprigionati. I soldati del II Corpo, in particolare, che hanno sofferto la prigionia in Unione Sovietica e che sono in gran parte originari delle province polacche cedute ai sovietici, guardano al comunismo con sospetto e inimicizia. Il gen. Anders è convinto che Gran Bretagna e Stati Uniti abbiano violato i loro obblighi assunti nei confronti della Polonia e manifesta le proprie idee negli incontri che ha con Churchill – uno dei quali si svolge il 26 agosto 1944 nel Quartier Generale polacco, tra Senigallia e Fano – e con i comandanti militari alleati, oltre che con esponenti del Governo in esilio. Dopo la conferenza di Jalta, che fissa la frontiera orientale della Polonia lungo la Linea Curzon, in cambio di ampliamenti territoriali a nord e a ovest, con l’annessione di territori tedeschi fino ai fiumi Oder e Neisse, il gen. Anders si fa interprete del risentimento dei suoi soldati, chiedendo alle autorità alleate di ritirare i reparti del II Corpo dal fronte. Ma poi i polacchi continuano ugualmente la lotta contro la Germania, a fianco degli Alleati.
Pur sostenendo che la Polonia è “in schiavitù” e che è ormai impossibile un ritorno “con le bandiere al vento come araldi della liberta”, il gen. Anders informa i suoi soldati che, se lo vogliono, possono rientrare singolarmente nel Paese. Su una forza totale di 112 mila effettivi, raggiunta dopo un ormai bloccato programma di potenziamento, sono circa 14 mila coloro che chiedono il rimpatrio: si tratta soprattutto di soldati giunti da poco tra le file del II Corpo. Al tempo stesso, l’unità diventa un polo di attrazione per i polacchi di tutta Europa: nell’Italia centrale e meridionale vengono creati campi per i civili e si istituiscono corsi professionali. Per i bambini e gli adolescenti si organizzano scuole sovvenzionate dagli stessi soldati. In alcune località della Puglia e delle Marche (Amandola, Ancona, Falconara, Fermo, Jesi, Macerata, Porto Recanati, Porto S. Giorgio, Recanati, Sarnano, Senigallia, S. Ginesio, S. Severino, Urbino) sorgono scuole di vario indirizzo in cui si svolgono anche “corsi di maturità” per quei militari che non avevano potuto completare gli studi a causa della guerra. Ed è ad Alessano, in provincia di Lecce, che viene impiantata la prima scuola in cui si tengono corsi per il conseguimento della maturità liceale o ginnasiale. Ancora oggi, in Polonia, vengono chiamati gli “Alessanesi di Polonia” coloro che li hanno frequentati.
Le sezioni “Editoria” e “Cultura e Stampa” del II Corpo producono testi militari, ma anche libri scolastici, saggi storici, romanzi, raccolte di poesie, mentre molti giovani possono frequentare le università di Padova, Bologna, Roma. Nel 1946, a continuazione dell’attività svolta all’interno del II Corpo, sorgono una casa editrice (Instytut Literacki) e la rivista “Kultura”, molto importante per la sua influenza sulla letteratura polacca del dopoguerra. La rivista ha avuto, tra i più illustri collaboratori, Gustaw Herling, soldato del II Corpo e autore di “Un mondo a parte”, straordinaria opera letteraria e impressionante testimonianza sui campi di lavoro forzato sovietici. Ma anche un libro che, per le sue traversie editoriali, costituisce un silenzioso biasimo morale per quegli intellettuali italiani e francesi che volevano tenere gli occhi chiusi su ciò che accadeva in Unione Sovietica.
Nasce in Italia una letteratura del II Corpo, che diventerà una “letteratura dell’esilio”, ispirata agli eventi della guerra, alla nostalgia per la patria lontana e alla particolare drammatica situazione in cui si trovano i polacchi. Ma sulla quale influiscono anche gli storici rapporti di amicizia tra i due Paesi e una rinnovata reciproca comprensione e conoscenza, l’arte, la natura, il sole, il paesaggio italiano. Già durante la guerra era stato pubblica, fin dalla permanenza in Medio Oriente, “Dziennik Zolnierza APW” (il quotidiano del soldato – Armata Polacca in Oriente), che in Italia mantiene questa testata. Il giornale segue gli spostamenti del fronte e, per un certo periodo, viene stampato a Fermo. Al quotidiano si affiancano varie testate periodiche, tra cui il settimanale “Orzel Bialy” (L’Aquila Bianca) e pubblicazioni specifiche delle varie formazioni del II Corpo.
Come ricorda lo scrittore Jan Bielatowicz, il II Corpo diventa una sorta di “grande nave che viaggia attraverso il tempo, raccogliendo ovunque naufraghi polacchi”, l’ ”ultima speranza”, il “rifugio e il punto d’arrivo”, oltre il quale, però, si delineano il fallimento di tutte le aspirazioni polacche e la frustrante realtà dell’assorbimento della Polonia nel sistema politico e militare sovietico. Una condizione psicologica che porta alcuni soldati polacchi a inscenare dimostrazioni di ripulsa e di spregio nei confronti dei simpatizzanti di sinistra italiani e a compiere vere e proprie aggressioni contro i militanti comunisti e le manifestazioni del Partito comunista, soprattutto nelle Marche, ma anche in Emilia Romagna.
La stampa comunista risponde con attacchi contro il II Corpo, ma si verificano anche reazioni violente contro i polacchi. Si tratta, in sintesi , di uno scontro tra due posizioni inconciliabili, da inquadrare nelle tensioni politiche e sociali del dopoguerra: entrambi i contendenti sono convinti di essere nel giusto. Il Partito comunista, consapevole del ruolo importante avuto nella Resistenza e portatore di idee di rinnovamento totale della società – ma anche perché allineato con Mosca, dove l’utopia sociale a suo avviso si è realizzata, e permeato del “mito” dell’Armata Rossa per il contributo determinante dato alla lotta contro il nazismo – trova inconcepibile l’anticomunismo e l’antisovietismo dei polacchi. I soldati polacchi, dal canto loro, sono in gran parte reduci dai campi di lavoro forzato sovietico e, consapevoli delle intenzioni egemoniche dell’Unione Sovietica nei confronti della Polonia, identificano il comunismo con l’aggressione sovietica del 1939, che aveva portato alla spartizione del loro Paese con la Germania nazista. Per molti polacchi gli italiani, appena liberatisi da una forma di totalitarismo, appaiono intenzionati a sceglierne volontariamente un’altra, a cui una parte dei soldati del II Corpo tenta di opporsi duramente. Sull’attività dei polacchi nel maceratese contro i membri del Partito comunista esiste una lettera ufficiale di protesta della Federazione provinciale di Macerata del Pci, datata 2 luglio 1945, che provoca l’intervento delle autorità alleate. Gli episodi vengono presi a pretesto per chiedere che i polacchi abbandonino l’Italia, perché “il popolo è stanco di sopportarli” (“Bandiera Rossa”, Organo marchigiano del Partito Comunista Italiano, 8/9/1945).
Dopo Jalta e la formazione in Polonia del Governo di unità nazionale, il gen. Anders viene dipinto come “un reazionario, legato agli interessi antinazionali dei latifondisti polacchi” (“Bandiera Rossa”, 8/12/1945) che inganna e minaccia i suoi soldati per impedirne il ritorno in Polonia. Le gravi sciagure stradali causate da autieri polacchi nei primi mesi del 1946 – duramente riprovate anche dai giornali non di partito – provocano sulla stampa comunista un’intensificazione della polemica contro i polacchi del II Corpo. Con il pretesto di respingere l’accusa, si insinua che possa trattarsi di un “piano preordinato a fini provocatori” (“Bandiera Rossa”, 6/7/1946) e che “elementi reazionari fascisti italiani”operino “per cercare connivenze e collaborazione tra le forze polacche per creare disordini e conflitti”. I duemila polacchi di stanza ad Ancona sono accusati di rapine, ubriachezza, traffico di macchine rubate e di penicillina, di speculazioni (“L’Unità”, 16/10/1946), mentre tutti i soldati del II Corpo, definiti “le bande di Anders”, starebbero preparando una guerra contro l’Unione Sovietica.
Si tratta, in definitiva, di una violenta campagna di stampa che a elementi di verità unisce false accuse e che oggi appare strumentale. Ricondotta al clima di quegli anni, essa sembra proporsi due obiettivi: difendere le posizioni di Mosca sulla questione polacca; screditare i polacchi poiché per la sinistra italiana, che all’epoca fa parte della compagine governativa e che vede i polacchi del II Corpo come alleati potenziali delle forze conservatrici e moderate, la loro presenza costituisce un problema politico. Nessuna meraviglia, quindi, che ai polacchi – che sono antinazisti e anticomunisti per aver subito lutti e sofferenze a causa dei tedeschi e dei sovietici – tocchi in Italia l’amaro destino di essere accusati di fascismo. E la discriminazione ideologica nei confronti dei soldati del II Corpo e delle loro vicende è andata ben oltre gli anni caldi del dopoguerra. Nei decenni successivi, quando una più meditata riflessione avrebbe dovuto indurre gli storici a lavori senza omissioni, distorsioni e condizionamenti ideologici, c’è stato nelle Marche chi ha evitato di ricordare, trattando la questione polacca, l’imbarazzante patto tra Germania nazista e Unione Sovietica, la prigionia dei polacchi in Unione Sovietica, il contributo dato dai polacchi alla liberazione delle Marche e che nel 1985, in Emilia Romagna, in occasione delle celebrazioni per il 40° anniversario della liberazione di Bologna, non ha invitato i rappresentanti del II Corpo polacco.
Il destino dei polacchi che hanno combattuto sui fronti occidentali è ormai segnato: gli Alleati respingono la proposta del gen. Anders di riunire in Germania tutte le forze polacche e il nuovo Governo laburista britannico – guidato da Clement Attlee – nel maggio del 1946 decide la smobilitazione del II Corpo polacco, attraverso il passaggio a un Corpo di Avviamento (Polish Resettlement Corps) che preparerà i soldati alla vita civile. I polacchi del II Corpo – scrive il gen. Anders nell’ordine del giorno del 29 maggio 1946 – lasceranno l’Italia, ma batteranno sempre la “strada ignota verso la Polonia, quella Polonia per la quale abbiamo combattuto … che nessun cuore polacco può immaginare senza Vilno e Leopoli”. Parole che suscitano la reazione del ministro degli Esteri britannico, Ernes Bevin, il quale auspica che tali sentimenti non vengano ripetuti da Anders in dichiarazioni ufficiali, in quanto le frontiere della Polonia sono ormai state fissate internazionalmente.
Le autorità britanniche non invitano le forze polacche all’estero a partecipare alla grande Parata della Vittoria, che si svolge a Londra l’8 giugno 1946. Il gen. Anders risponde celebrando ad Ancona, il 15 giugno successivo, la “Giornata del soldato” del II Corpo e fa trasmettere dagli altoparlanti il “voto”: “le forze polacche indipendenti devono essere smobilitate, (ma) … come soldati della sovrana Repubblica Polacca … continueremo la nostra lotta per la libertà della Polonia”. Il 26 settembre 1946 il Governo polacco priva Anders e altri 75 generali e ufficiali superiori della cittadinanza polacca.
Il 31 ottobre 1946 il gen. Anders lascia l’Italia, dopo le visite di congedo al capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, al papa Pio XII, e al Quartier Generale alleato di Caserta. Ma – scrive il generale nelle sue memorie – per la Polonia la guerra non è cessata con la vittoria, come per le altre nazioni alleate, e ai polacchi non resta che credere e attendere che si compia “l’ultimo capitolo di questo grande sconvolgimento storico”. Anders, inappuntabile sul piano militare, usa nelle sue considerazioni politiche – in questa e in successive occasioni – un linguaggio franco e istintivo che spesso provoca accese polemiche e forti reazioni o che dà adito a interpretazioni distorte e interessate, ma formalmente giustificate dalle stesse parole del generale. La strada immediata è tuttavia quella dell’esilio: nell’autunno del 1946 i soldati del II Corpo vengono trasferiti in Gran Bretagna, dove possono trattenersi nel Corpo di Avviamento per un periodo massimo di due anni, allo scopo di imparare la lingua inglese e un mestiere. Molti scelgono di rimanere in Gran Bretagna, altri emigrano negli Stati Uniti, in Canada, Argentina, Australia. Alcune centinaia di polacchi, in particolare chi ha sposato donne italiane, si stabiliscono in Italia.
I polacchi del II Corpo che si avviano all’esilio sono consapevoli di aver combattuto con grande determinazione, riconosciuta da tutti i comandanti alleati, per una rivincita nei confronti dell’invasione tedesca del 1939, per i loro familiari rimasti in Polonia, per la sopravvivenza personale e nazionale, ma anche per l’Italia. Il loro riferimento ideale era stato il generale polacco Jan Henryk Dabrowski, che nel 1797 si era battuto a fianco di Napoleone e aveva aiutato i lombardi con la speranza di portare poi la libertà nel suo Paese, marciando, appunto, “dalla terra italiana alla Polonia”, una frase che oggi non si realizza, perché il loro Paese accanto alle violenze dei vinti deve sopportare l’ingiustizia dei vincitori.
La Polonia, infatti, dopo essere stata vittima della duplice aggressione nazista e sovietica del 1939 e aver subito nel corso della guerra 6 milioni di morti su una popolazione di 28 milioni di abitanti, diventa ora vittima dei nuovi equilibri europei. Che sono il risultato dei protocolli segreti tra sovietici e tedeschi e degli accordi di Jalta tra sovietici e potenze occidentali, e che la guerra fredda farà durare per decenni. La piena indipendenza della Polonia verrà riconquistata solo nel 1989.


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